Teatro

Ladro di razza: successo al Ghione per il teatro neorealista di Dapporto


La recensione della prima. Precisamente 70 anni fa, all’alba del 16 ottobre del 1943, le SS fecero irruzione nel ghetto ebraico di Roma, rastrellando 1024 persone per deportarle nel campo di concentramento di Auschwitz. Una delle pagine più tragiche di storia nazionale viene rievocata a teatro attraverso la toccante messa in scena dello spettacolo “Ladro di razza” al Teatro Ghione, dove rimarrà allestito sino al 27 ottobre.

Tanti gli ospiti venuti ad applaudire alla prima romana tra cui i registi Ugo Gregoretti e Lina Wertmuller, Pippo Baudo, Angelo Longoni, Eleonora Ivone, Amedeo Minghi, Pier Francesco Pingitore, Ugo Pagliai, Tosca, Massimo Venturiello, Maria Rosario Omaggio.

“Ladro di razza” è decisamente una commedia intensa, dolce-amara, neorealista, che sa toccare le corde dell’anima.

Lo spettacolo, opera del prolifico Gianni Clementi, diretto da Marco Mattolini, racconta attraverso il punto di vista di Tito, ladro dal cuore d’oro, e di Oreste, suo povero amico, l’incontro con Rachele, una ricca donna ebrea, nel periodo in cui Roma era occupata dai tedeschi. Si ricorda l’ordine che fece Herbert Kappler, capo della Gestapo nella capitale, obbligando la comunità ebraica a raccogliere e consegnare 50 chili d’oro per la propria incolumità e soprattutto della conseguente deportazione che avvenne nonostante le promesse fatte.

Ci si focalizza sulla Roma negli anni del secondo conflitto mondiale: una città bombardata, impoverita, svuotata nelle notti di coprifuoco, ma capace di rialzarsi sempre e di sollevarsi con estrema umiltà e orgoglio.

La scenografia mostra due ambienti attigui: la piccola e fredda baracca di legno; povera dimora dell’operaio Oreste (interpretato da Blas Roca Rey) e luogo di accoglienza per il ladro Tito (Massimo Dapporto) e la ricca casa dell’ebrea Rachele (Susanna Marcomeni). Dapporto, Roca Rey e Marcomeni hanno la capacità di alternare momenti di forte comicità, trascinando il pubblico con una verace parlata romanesca, a momenti più riflessivi.

Si parte dalla storia per farci riflettere sulla guerra, sul razzismo, sull’amore, sulla generosità. E ci si commuove davanti alla bontà dei sentimenti che nemmeno un plotone di esecuzione può uccidere.

Monica Menna