Teatro

Un colpo di pistola al caos

Sergio Rubini in "Zio Vanja"

La recensione della prima. In scena un cast per lo più cinematografico capitanato da Sergio Rubini (nelle vesti del protagonista Vanja) e Michele Placido (nei panni di Serebriakoff). La regia accorta e precisa è di Marco Bellocchio. I due formidabili attori coinvolgono il pubblico in una girandola di emozioni, tra sorrisi ironici e beffardi e colpi di pistola inaspettati, all’interno dello spettacolo “Zio Vanja”, tratta dall’omonimo testo di Anton Checov, messa in scena al Teatro Quirino (fino al 15 dicembre).

Minimal la scenografia che richiama come ambientazione il paesaggio rurale sovietico di fine ‘800. Due sono gli elementi che spiccano: un semplice parquet di legno e, sul fondo della scena, un telo di plastica lucida. Attraverso quest’ultimo si proiettano giochi di luce, che, uniti a effetti sonori, riescono a produrre persino l’idea di un temporale in atto.

In primo piano in particolare Sergio Rubini, funambolo sulla scena. Il suo è un personaggio tragicomico. Pur circondato da parenti e conoscenti è fondamentalmente solo. Desidera Elena (resa da Lidiya Liberman), seconda moglie di suo cognato Serebriakoff (Michele Placido), sapendo che è un amore irrealizzabile. Detesta il cognato e intrattiene con lui liti furibonde, che sfiorano l’omicidio. E nonostante la tragicità degli eventi lo spettatore sorride assistendo alla rincorsa di Vanja mentre cerca di mirare con la pistola il suo bersaglio, fallendo puntualmente i colpi.

La pièce è un capolavoro indiscusso di Checov. È un dramma grottesco, che mette al centro l’uomo e le sue contraddizioni. È contraddittorio Vanja capace prima di tentare di uccidere Serebriakoff, poi di stringergli la mano. È contraddittoria Elena, che afferma di amare il marito ma non esita a baciare il proprio corteggiatore, il dottor Astrof (interpretato da Pier Giorgio Bellocchio). È contraddittoria Sofia (interpretata da Anna Della Rosa) che vorrebbe fuggire ma torna dopo pochi secondi dentro casa.

In scena assistiamo a una convivenza di due mondi contrapposti di nietzscheana memoria: l’apollineo e il dionisiaco; tutto ciò che richiama Apollo, ed è equilibrato, misurato, composto, razionale e tutto ciò che richiama Dioniso, cioè abbandono sensuale, perdita di controllo, mancanza d’equilibrio, irrazionale. D’altronde quello di Checov è un dramma scritto negli ultimi anni dell’Ottocento, anticipa quel senso di inquietudine e crisi per l’uomo che saranno tipicamente novecenteschi. L’uomo è costretto da un mondo di valori, limiti e barriere che non stimola e non entusiasma la vita. È seduto ad attendere che passi la nottata.

Monica Menna