Teatro

Re Lear e la dissolvenza del potere


La recensione della prima. Il Teatro Quirino inizia la nuova stagione teatrale con una grande novità, il “Re Lear” (dal 16 al 28 ottobre 2012) nella traduzione, adattamento, regia, interpretazione di Michele Placido.
La scenografia è ricca di elementi, in cui si nota l’attenzione per il minimo dettaglio posta dallo scenografo Carmelo Giammello. Ci sono accatastati oggetti di natura diversa: quadri, bauli, rovine di statue, un’aquila.
Soprattutto campeggia una grande corona, posta però in posizione decadente, su cui emergono i volti di famose personalità storiche; spiccano tra gli altri Hitler, Mussolini, Kennedy, Osama Bin Laden. Personaggi che hanno conosciuto le sfere più alte del potere e hanno poi vissuto un tragico declino così come era accaduto per lo stesso Re Lear, la cui autorità si andava dissolvendo.
Sotto un nuovo punto di vista storico ogni oggetto presente sul palcoscenico assume così un valore simbolico. La corona è figura del potere reale, reale proprio come quell’aquila (che sembra, però, essere in caduta libera) che veniva utilizzata come emblema nel Novecento dei regimi totalitari. Come a dire che il potere sa essere anche devastante e cruento come era accaduto negli stati totalitari. Un concetto che si concretizza con tutti quei personaggi malvagi, meschini e perversi che popolano la scena; dalle figlie di Lear Gonerill e Regan, a Edmund.
Placido, con maestria, dona al personaggio di Re Lear quel senso di grandezza che si va dissolvendo, quel senso di vecchiaia che inesorabilmente incombe. Memorabile la scena della tempesta -che lo vede protagonista – metafora della precarietà della condizione umana. Una lucida follia si impadronisce di lui diventando nuova saggezza.
Merita un apprezzamento l’intero cast tra cui i bravissimi Gigi Angelillo, nelle vesti di Gloucester, Francesco Bonomo nel ruolo complicato e sofferente di Edgar e Giulio Forges Davanzati nel ruolo del doppiogiochista Edmund. Meritano una nota particolare le tre attrici che interpretano le figlie di Lear: Margherita di Rauso nel ruolo della fiera Goneril, mix di crudeltà e eros, Linda Gennari, nel ruolo dell’immorale Regan, Federica Vincenti, nel ruolo di Cordelia, che emoziona il pubblico nell’esecuzione della struggente “Halleluja” di Jeff Buckley. Sul palcoscenico pure Brenno Placido nei panni del buffone di corte che erra con Lear, una sorta di grillo parlante che, superando le apparenze, aiuta a analizzare il mondo circostante attraverso lazzi e filastrocche. Colpiscono i suoi abiti moderni, sembra un rapper dei nostri giorni.
Il canto dell’ Halleluja, ricalcato sulla composizione poetica cinquecentesca “Corpus Christis Carol”, diffonde nella sala un’aura di sacralità. Le parole del testo risuonano in maniera assordante, ricordando da vicino l’esperienza di Lear: “Well your faith was strong but you needed proof” (beh la tua fede era forte, ma avevi bisogno di una dimostrazione).
Le rovine delle statue (braccia, teste) della scenografia ci riportano alla mente le immagini di quel 9 aprile 2003 quando in Piazza del Paradiso a Baghdad veniva abbattuta, in diretta mondiale, la statua del dittatore Saddam Hussein, emblema della liberazione ottenuta sullo sfondo di tanto sangue versato…
E’ una tragedia che non può non avere un epilogo drammatico con la morte dei protagonisti, la rovina del potere. Eppure un segnale di speranza c’è, in quelle parole finali pronunciate da Edgar: “Maturare è tutto”, “A noi tocca accettare il peso di questo tempo triste”.

Monica Menna