Teatro

Coinvolgente signora G in lotta con la piccola Moby Dick

La recensione della prima. L’omaggio al teatro di Giorgio Gaber di Luisa Marzotto, che porta in scena “Il Grigio” (alla Sala Grande del Teatro dell’Orologio a Roma, dal 15 al 20 gennaio 2013), è intenso e coinvolgente.

Ha scelto un testo particolare e suggestivo che Gaber e Luporini avevano denudato della parte musicale (“In questo spettacolo sarebbe sbagliato cantare”, aveva detto l’artista all’epoca della sua messa in scena nel 1989). Quindi non un monologo alternato a canzoni ma “un dramma d’azione” con un solo interprete (“I personaggi si possono evocare”, aveva aggiunto Gaber).

La rilettura di Marzotto – con la regia di Roberto Leggio – ancor più nella messa in scena in cui è proposta, coglie e accentua il messaggio del testo gaberiano sulla solitudine, sulla lotta tra il bene ed il male, sullo scontro tra l’uomo e l’animale (di cui vi sono molteplici esempi in letteratura, nelle battaglie tra Bellerofonte e Chimera, Achab e Moby Dick, ed anche… Tom e Jerry).

Luisa Marzotto sa dare alla recitazione un ritmo agile e “cinematografico”. Dal racconto prendono vita i personaggi dell’amico del cuore, del colonnello in pensione Mazzolini, del figlio, del gatto Tobia. E soprattutto de Il Grigio di cui si sentono, di tanto in tanto, gli squittii a ricordare la sua presenza ingombrante.

La battaglia tra la protagonista ed il topo, furbo, scaltro, intelligente, coraggioso e tenace, rivela le debolezze non dell’animale ma dell’uomo; spinge ad interrogarsi su se stessi ed a compiere fino in fondo il processo di autodistruzione che finalmente porta ad un chiarimento interiore. Si divaga pure evidenziando così anche altri messaggi come quello sulla televisione, definita “il frullatore della volgarità”.

Un monologo così lungo, suddiviso in due tempi, con una continuativa presenza scenica per due ore, è una prova teatrale non facile, che l’attrice ha superato brillantemente. In un’alternarsi di sentimenti anche contrastanti, dall’esaltazione al pathos, in una circumnavigazione a 360 gradi del rapporto di “odio” (che,a tratti, diventa quasi “amore”, come se il bene ed il male potessero convivere).

La performance (scene di Sonia Peng e luci di Sara Marugan) è scandita dai momenti di buio, dalla luce che proviene solo da una finestra affacciata sulla vita.

Come sempre accade con i testi di Gaber si ride anche (molto spesso è riso amaro) e non si può non rimanere totalmente conquistati da questa Achab indifesa alle prese con la sua piccola, inafferrabile Moby Dick.

Monica Menna