“The full monty” mette a nudo la crisi economica
La recensione della prima ufficiale. Non c’è due senza tre. Anche “The full monty”, terzo spettacolo di seguito (oltre a “La cage aux folles” e “My fair lady”, ndr) prodotto dalla Peep Arrow in questa stagione teatrale, dimostra,sin dalle prime battute, di essere un musical di successo firmato Massimo Romeo Piparo.
Accolto da un grande fermento nella sua serata dedicata al debutto ufficiale, al Teatro Sistina (dove rimarrà in scena sino al 17 febbraio 2013), non delude le aspettative del pubblico. A Piparo va il merito di cogliere sempre, con grande intuito, soggetti da trasporre a teatro che da un lato divertono e dall’altro possiedono dei contenuti attuali su cui riflettere.
La trama di “The full monty” è nota a tutti dall’omonimo film del 1997, diretto da Peter Cattaneo, vincitore anche di un Premio Oscar per la miglior colonna sonora. I protagonisti sono sei disoccupati squattrinati che hanno l’idea di organizzare uno spettacolo di striptease per riuscire a guadagnare velocemente dei soldi.
Sul palcoscenico gli attori sono scatenatissimi, mattatori della scena, tra un ballo di cha cha cha, uno yuppi du alla Celentano e dei provini di strip ammaliano il pubblico. Piparo ha composto un gruppo completamente eterogeneo, che proprio nelle diversità dell’uno e dell’altro trova la propria forza. C’è Pietro Sermonti capobanda persuasore, ci sono l’autoironico Gianni Fantoni e il sempre brioso Paolo Ruffini, ancora la bellezza straniera Sergio Muniz, la iena Paolo Calabresi e il giovanissimo dalle straordinarie doti canore Jacopo Sarno. La particolarità è che inoltre si esibiscono anche due non attori, Marco Serafini e Simone Lagrasta, che veramente hanno conosciuto la disoccupazione e a cui oggi è stata data l’opportunità di lavorare per un anno in una compagnia teatrale prestigiosa.
Con “The full monty” si racconta la crisi economica che stiamo vivendo, si raccontano le difficoltà di uomini che da un giorno all’altro perdono il proprio posto di lavoro, di padri che devono riuscire a mantenere i propri figli tra mille difficoltà, di mariti che devono sostenere matrimoni complicati.
Si intonano canzoni che parlano di spread e di Andrea Pirlo, si ambienta il musical in una città industrializzata quale Torino. Ogni scelta registica è finalizzata a rendere lo spettacolo il più possibile vicino a noi italiani, per ricordarci di quanto sia importante l’articolo 1 della Costituzione (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro) troppo spesso dimenticato.
Notevole il contributo grafico delle proiezioni, dall’effetto tridimensionale, che arricchiscono la scenografia mobile costruita da Teresa Caruso. Così come di effetto sono anche le divertenti coreografie firmate Bill Goodson.
Immancabile la scena dello spogliarello finale. Lascia veramente a nudo i suoi sei interpreti, che si coprono con il solo casco giallo da lavoro, rimanendo protetti dalle accecanti luci della mega scritta (The full monty appunto) comparsa alle loro spalle.
E il full monty – il servizio completo – viene servito.
Monica Menna